Aumento di disturbi d’ansia, sintomi post-traumatici, dipendenze patologiche e suicidi. Cosa c’è di vero nelle notizie sulla salute mentale e quanto dobbiamo preoccuparci?

Nel corso degli ultimi anni abbiamo tutti sperimentato in prima persona gli effetti psicologici della pandemia e dell’isolamento sociale ed elaborare le emozioni intense che abbiamo provato e che continuiamo a vivere non sarà facile.

La preoccupazione per la salute mentale è legittima e il disagio psicologico diffuso e tangibile. In un recente sondaggio, il 62 per cento degli italiani dichiarava di aver bisogno del supporto di uno psicologo, contro il 40 per cento precedente alla pandemia.

Durante il primo lockdown, alcune testate giornalistiche italiane, come Il Messaggero, hanno denunciato un aumento del numero di suicidi e tentati suicidi rispetto allo stesso periodo (marzo-aprile) del 2019. Altri, come Repubblica e Il Sole 24 Ore, hanno invece presagito rispettivamente un “picco di malattie mentali dopo la pandemia” e un’“ondata mondiale di suicidi da Coronavirus” (Il Sole24Ore).

Ma al di là dei titoli spesso molto enfatici dei giornali, cosa possiamo realisticamente aspettarci dopo la pandemia in termini di salute mentale? Vediamo quanto c’è da preoccuparsi e come si possono prevenire in modo concreto le conseguenze psicologiche della pandemia intervenendo al meglio sui fattori di rischio.

Gli effetti della pandemia sulla salute mentale

Anche se è vero che la pandemia porta con sé rischi significativi per la salute psicologica, questi effetti non sono ancora del tutto prevedibili in termini di pervasività, intensità e diffusione. La letteratura scientifica di questo periodo sta infatti cercando di fare chiarezza, analizzando le variabili che potrebbero incidere sul benessere complessivo di individui e comunità.

Gli effetti dell’epidemia, della paura e dei lockdown sulla salute mentale sono stati ampiamente approfonditi da The Lancet, una nota rivista specialistica. All’inizio della pandemia, The Lancet aveva pubblicato un articolo che riassumeva tutte le evidenze sugli effetti psicologici della quarantena, a partire da studi effettuati in Cina e Corea del Sud, su persone sottoposte a quarantena e isolamento forzato. Nella rassegna di ricerche riassunte dagli autori, erano presenti inoltre alcune indagini svolte durante il periodo di diffusione della SARS del 2003, un coronavirus molto simile a quello attuale, che però aveva avuto un impatto minore.

Tra le conseguenze più significative di quarantena e isolamento sociale sulla salute mentale, The Lancet riportava:

  • Condotte di evitamento, ovvero tenersi a distanza da situazioni temute per paura di essere contagiati, fino a tre anni dopo la fine dell’epidemia.
  • Paura e ansia nel tornare alla vita normale, a cui seguiva assenteismo al lavoro.
  • Preoccupazioni economiche.
  • Sintomi post-traumatici (come irritabilità, rabbia, flashback intrusivi e incubi).

Tra i fattori di rischio in grado di complicare il quadro, intervenivano poi:

  • Noia e frustrazione;
  • Comunicazione poco chiara da parte delle istituzioni;
  • Condizioni di disagio psicologico preesistenti, come ansia, depressione o altri disturbi di diversa gravità.

Fattori di rischio psicosociale durante la pandemia

Un altro articolo di The Lancet, presentato nella sezione Psychiatry, ha esaminato i fattori di rischio psicosociale che potrebbero contribuire all’aumento del numero di suicidi durante e dopo la pandemia, suggerendo alcune linee guida di prevenzione di cui la salute pubblica si dovrebbe occupare al più presto.

Gli autori hanno individuato 8 fattori in grado di orientare l’effetto psicologico della pandemia e, di conseguenza, il numero di suicidi. I fattori sono divisi in specifici e universali.

Specifici

  • Disagio psicologico preesistente. Si suggerisce di garantire servizi psicologici in varie modalità a tutti e in particolare alle persone più vulnerabili, come chi ha già un disagio psicologico oppure è più esposto a stress intenso (ad esempio gli operatori sanitari).
  • Esperienze suicidarie precedenti. Le persone che hanno provato a suicidarsi in passato o che erano a rischio suicidio prima della pandemia vanno protette con screening diagnostici e interventi ad hoc come linee telefoniche anti-crisi.

Universali

  • Fattori di stress economico. Il governo dovrebbe provvedere a fornire un adeguato supporto economico per tutti coloro che a causa della pandemia hanno perso il lavoro, o hanno subito ingenti perdite e non riescono a far fronte alle spese per beni di prima necessità.
  • Violenza domestica. Fornire a chiunque sia vittima di violenza domestica un’alternativa abitativa.
  • Consumo di alcol. Le bevande alcoliche vengono utilizzate come strumenti per lenire lo stress, l’ansia e gli effetti psicologici della solitudine. Tuttavia, l’alcol indebolisce il sistema immunitario e può portare a comportamenti imprudenti. Sarebbe necessario promuovere un monitoraggio attento del consumo di alcolici e campagne pubblicitarie di sensibilizzazione.
  • Isolamento. Può essere deleterio per la salute e persino doloroso a livello fisico. Il suggerimento è attivare reti sociali di amici e parenti e facilitare l’accesso alla consulenza psicologica.
  • Accesso a beni e servizi. Si sottolinea l’importanza di ridurre l’accesso a prodotti comunemente utilizzati per i suicidi.
  • Mass media. È importante attuare una comunicazione responsabile e limitare i report allarmistici, fornendo informazioni chiare e attendibili e sensibilizzando l’opinione pubblica al tema della salute mentale.

Chi rischia di più?

Dagli studi citati in precedenza emerge con chiarezza la necessità di tutelare in particolare le persone con una storia precedente di disagio mentale. Si tratta in particolare di persone che:

  • Soffrono di patologie psichiatriche (schizofrenia, psicosi, gravi disturbi di personalità, ossessioni, fobie e ansia, disturbo bipolare);
  • Hanno una o più dipendenze patologiche da alcol o da uso di sostanze stupefacenti;
  • Hanno vissuto precedenti esperienze traumatiche o di perdita;
  • Sono in generale più vulnerabili (disturbi d’ansia lievi o di media gravità, scarsa autostima, tendenza al rimuginio).

In altre parole, chiunque abbia sperimentato qualche forma di disagio psichico potrebbe risentire in misura maggiore degli effetti della pandemia, che intervengono su vari fronti. Il forte stress a cui siamo sottoposti deriva soprattutto da:

  • Incertezza (economica, lavorativa, sociale),
  • Paure relative alla salute e a quella dei propri cari,
  • Ridotta socialità e solitudine.

Alla fonte dell’ansia

Secondo Howard Steele, professore di psicologia presso la New School for Social Research, il Coronavirus ha attivato tre delle più grandi paure degli esseri umani:

  1. Paura di perdere i propri cari o essere separati da essi;
  2. Timore di perdere l’amore di persone importanti;
  3. Terrore dell’annichilimento (paura della morte).

Steele propone che il Coronavirus abbia intensificato la “mortality salience”, un costrutto psicologico che indica la consapevolezza della mortalità (propria e altrui).

Ernest Becker, antropologo culturale, sosteneva che per poter condurre una vita senza eccessiva angoscia dobbiamo negare l’idea della morte. Quando un evento, una situazione, una perdita riattivano l’idea della caducità dell’esistenza, il diniego viene meno e con esso le difese che ci proteggono dall’angoscia.

Così, durante la pandemia non solo ci ritroviamo più soli, ma in quella solitudine dobbiamo anche affrontare le angosce esistenziali.

Steele propone una strategia per affrontare queste emozioni, chiamata “mentalizzazione della paura”. In poche parole, l’idea è quella di familiarizzare con le proprie paure, riflettendoci su e imparando a tollerarle. Questa capacità di ragionare sui propri stati mentali si chiama “funzione riflessiva” e dipende anche da quanto durante l’infanzia:

  • Abbiamo imparato ad accogliere la paura e ad affrontare le situazioni spaventose con fiducia;
  • Siamo stati trattati come esseri pensanti ovvero persone in grado di provare sentimenti ed emozioni.

Il desiderio negato. Interpretazione psicoanalitica della paura

I due istinti più forti che intervengono nel determinare le nostre emozioni in questa pandemia sono due: il desiderio e la paura. 

Se da una parte dobbiamo improvvisamente fare i conti con la nostra mortalità, dall’altra la situazione attuale ci costringe a negare i nostri desideri. Da un lato la pulsione erotica e libidica, l’istinto vitale e l’energia che ci spingono a realizzare progetti e raggiungere obiettivi. Dall’altro l’incertezza, l’ansia, la pulsione di morte che pervade la quotidianità. Nell’incertezza totale sperimentiamo un congelamento del desiderio. Il desiderio ci spinge ad amare, abbracciare, stare vicini. L’incertezza rispetto alle conseguenze di queste azioni, però, blocca i nostri intenti. Così la paura ci sta castrando, e i desideri tornano indietro come lettere rimandate al mittente o palline da tennis lanciate contro un muro. Come onde che si infrangono sugli scogli e li consumano, così nei mesi i nostri desideri si possono dirigere solo su noi stessi, erodendo la nostra salute mentale.

Come gestire i rischi psicosociali

Un aspetto di particolare importanza è l’accessibilità alle cure psicologiche.

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