Parlando con i miei pazienti mi sono reso conto che c’è un filo conduttore che lega lo stato d’animo di molti durante la pandemia: la strana sensazione di sentirsi obbligati a fare i conti con se stessi, con le scelte passate e il proprio futuro. Queste sono le mie riflessioni a riguardo con alcuni consigli per trasformare un periodo difficile in un’opportunità di crescita personale.
Dopo un primo periodo di confusione e adrenalina legato alla pandemia, oggi il compito più difficile non è più adattarsi a una situazione nuova, ma riguarda anche temi più significativi:
– i conflitti interiori irrisolti;
– il tempo sospeso, che sfugge al controllo e mette in dubbio le scelte fatte finora.
Per rendere questo periodo un’opportunità, allora, dobbiamo conoscere le nostre ombre e trattare con gentilezza i fantasmi che incontriamo lungo il cammino.
Come mai da quando è iniziata la pandemia stiamo ragionando di più sulle cose lasciate in sospeso e i conflitti interiori irrisolti?
Nodi irrisolti e psicologia
I conflitti interiori irrisolti si generano a causa del modo di funzionare del nostro sistema mentale. Il cervello infatti è in costante conflitto con se stesso: se da una parte prova attivamente a dimenticare le esperienze spiacevoli del passato, dall’altra tende a completare i compiti lasciati in sospeso (effetto Zeigarnik) e quindi fa riemergere i ricordi che vorrebbe sotterrare.
Di fronte a vissuti di questo tipo l’Io innesca i meccanismi di difesa e lancia un “allarme”, che si concretizza in un disagio generico o in casi più gravi in uno stato depressivo o disturbi d’ansia.
Ecco perché la noia e il vuoto sono difficili da tollerare e sono vissute da molti come “pericolose” o da evitare. Questo è anche il motivo per cui l’isolamento sociale e la quarantena ci mettono a dura prova: di fronte al vuoto dobbiamo affrontare emozioni difficili e conflitti irrisolti, e a volte se non siamo abituati può essere complicato.
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La vita non lascia mai conti in sospeso
Quali sono i pensieri che emergono più facilmente quando pensiamo a noi stessi? Il passato, i progetti futuri e anche i rimpianti. Durante la pandemia molte persone hanno iniziato a pensare molto più del solito alla propria vita: chi sono, cosa voglio davvero, sono felice? Quando ci confrontiamo con la malattia, la morte, le limitazioni – come siamo stati costretti a fare negli ultimi due anni – le nostre scelte assumono una salienza diversa.
Così iniziamo a pensare a ciò che abbiamo trascurato, o lasciato irrisolto. “E se la persona che ho lasciato era quella giusta per me?”, “E se non mi fossi fatto fregare dalla paura quando ho rifiutato quel trasferimento?”.
Insomma, la vita non lascia mai conti in sospeso.
Paradossalmente, in un momento di blocco totale del mondo esterno, il nostro mondo interiore è più attivo che mai e ci mette di fronte alle questioni lasciate in sospeso. La mente ha bisogno di concludere ciò che ha iniziato e non sente gli anni che passano. Nell’inconscio il tempo non esiste. Ciò che è accaduto vent’anni fa – se non elaborato – ha lo stesso peso di ciò che è successo ieri.
E allora che si fa?
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Risolvere i conflitti interiori
Diverse persone mi hanno raccontato che la quarantena ha portato a rivalutare alcuni aspetti della propria vita, mettendo in prospettiva vecchi problemi e uscendo dai soliti schemi.
Ho quindi elaborato queste indicazioni:
- Allenarsi a essere assertivi. È importante cercare di esprimere in modo chiaro pensieri ed emozioni. Tendiamo a tenerci troppo dentro le cose e intanto il tempo passa. Alleniamoci a comunicare in modo adeguato i nostri sentimenti, a proporre le nostre idee, a rimarcare che ci siamo.
- Esplorare il proprio mondo interiore. Lèggere è un ottimo modo per cominciare. Anche film e serie tv sono utili strumenti per conoscersi meglio. Lo strumento per eccellenza per innescare una crescita personale però, è ovviamente la psicoanalisi personale.
- Monitorarsi. Fare attenzione a stati d’animo, pensieri e comportamenti. Magari tenendo un diario o scrivendo i pensieri più significativi che ci passano per la testa (se ne abbiamo voglia, altrimenti va bene anche farci caso, ogni tanto).
- Scegliere strategie di adattamento ottimali. Quando ci sentiamo giù è meglio evitare di bere alcolici, isolarsi e mangiare troppo, classiche strategie di adattamento negative. Concentrarsi sui problemi pratici da risolvere, e su ciò che possiamo controllare è la scelta migliore. Se vi sentite a disagio usate la creatività: scrivete, disegnate, cercate di dare una forma visibile al vostro stato d’animo.
L’ultimo consiglio è quello di parlarne con uno specialista. Lo psicologo si occupa proprio di questo: questioni sospese, nodi irrisolti, emozioni difficili da capire ed elaborare. Un corso individuale di crescita personale o la psicoterapia individuale sono i migliori rimedi per ansia e stress.
Se pensi di voler scoprire di più su te stesso/a, contattami all’indirizzo email riccardogermani.psi@gmail.com
Mi viene da pensare che non siamo tutti uguali: alcuni se si fermano muoiono, altri invece stanno benissimo anche in quei momenti che la gente comune definisce “di noia”. O almeno riescono a gestirla bene. Pare che non ne soffrano (io mi considero “a metà”).
Ebbene ,dopo la lettura di questo articolo, mi chiedo: se queste persone stanno bene nella modalità default significa che non hanno “scheletri nell’armadio”, rimorsi, rimpianti??? O è più probabile che semplicemente se ne freghino?
Penso anche che alcune persone sono forzate a vivere sempre in questo stato, per esempio gli anziani da soli o ,al contrario, i bambini (io da bambino, in casa e finiti i compiti di scuola, mi annoiavo a morte ma non rimuginavo sulla mia vita).
Personalmente ho sempre passato una buona percentuale della mia vita in questa modalità. La mia vita è sempre stata piuttosto noiosa e priva della libertà per divertirmi come pare a me: la noia delle lezioni di scuola, la noia dei pomeriggi a casa, la noia dei miei genitori rompiballe e la mancanza di libertà, la noia del lavoro (caso vuole che io abbai sempre avuto lavori impiegatizi con poco da svolgere e parecchio tempo da buttare),la noia di un matrimonio lungo e una moglie rompiballe, la mancanza di libertà e il piattume a causa del matrimonio, la noia di alcune ferie passate a casa dei suoceri, ecc.
Di solito in questo tempo noioso sono evaso fantasticando, sognando a occhi aperti. Di rado rimuginando.
Anzi mi arrovello di più quando ho la POSSIBILITA’ di fare qualcosa per la mia vita, piuttosto che quando invece ho “la scusa” per non fare niente.
Ecco: ho sempre sofferto di mancanza di libertà, ma questa ha di “buono” che almeno mi fornisce LA SCUSA per lasciare perdere, per rimandare, per fregarmene.
In questi giorni mi manca molto il non poter nemmeno fare una delle mie lunghe passeggiate, ma ogni tanto penso che a questa quarantena mi ci stia pure abituando! E la cosa mi fa un po’ paura, anche!
Non vorrei abituarmi alla vita piatta e non essere magari più capace di fare qualcosa quando la quarantena sarà finita.
Ci stiamo tutti atrofizzando e temo che alla fine saremo come degli uccellini nati in cattività a cui viene improvvisamente aperta la gabbia.
È un commento molto interessante, Marco. In effetti c’è il rischio di abituarsi alla propria sicurezza e aver paura di riprendere la vita normale dopo. Chissà come saremo tra un anno!